Anziani ed economia, il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo: «La terza età di domani pronta a spendere di più»

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di Luca Cifoni
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Mercoledì 30 Giugno 2021, 11:45 - Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 15:20

Presidente Blangiardo, anche dopo il Covid gli italiani continueranno a diventare sempre più vecchi?

«La tendenza all’invecchiamento della popolazione viene da lontano e il Covid, che pure ha colpito soprattutto gli anziani, l’ha attenuata molto parzialmente e ha prodotto il cambio di passo solo in alcune limitate aree del Paese. Quindi la tendenza è destinata a proseguire. I numeri ci danno un’idea dell’intensità con cui è destinata ad agire, specie in corrispondenza della fascia di popolazione davvero vecchia: oggi gli ultranovantenni sono circa 800 mila, saranno più o meno 2 milioni fra trent’anni. Gli ultracentenari passeranno da meno di 20 mila a quasi 100 mila».

Che tipo di società sarà allora quella del 2050?

«Non solo saremo un po’ meno numerosi rispetto ad oggi, ma la struttura della popolazione italiana sarà sbilanciata. La piramide dell’età si sta trasformando in un fungo. La classe di età modale, ovvero quella statisticamente più frequente, sarà 70-75 anni. Certamente avremo una società diversa, che però non vuol però dire peggiore. Ci sarà meno dinamismo, ma forse - possiamo augurarci - ci saranno anche meno atteggiamenti combattivi e più serenità. E la tecnologia potrebbe dare una mano, se permetterà di produrre beni e servizi coinvolgendo in maniera meno diretta gli esseri umani».

Già oggi, dopo le varie riforme delle pensioni, si lavora fino ad un’età più avanzata. Cosa cambierà ancora nei prossimi anni?

«Superata la pausa dell’anno del Covid, la speranza di vita ci si augura possa continuare ad aumentare, anche nelle età più mature. Al tempo stesso, per un numero crescente di attività lavorative sarà sempre meno richiesta la forza fisica e sempre più capacità intellettiva ed esperienza. Per valorizzare tutto ciò è tuttavia necessario che vi sia un importante passaggio culturale: si tratta di superare la logica dello scontro generazionale nella competizione sul mercato del lavoro. Primo perché i giovani sono e saranno per molto tempo ancora pochi. Secondo perché queste due componenti possono coesistere. L’interazione può aiutare la formazione, lo scambio di competenze. Ci sono imprenditori, artigiani, professionisti che chiudono l’attività per mancanza di successori: potrebbero invece lasciarla a persone giovani, accompagnandole. È un cambiamento che si può fare purché si capisca, appunto, che quella tra giovani e vecchi non è una guerra. Per la permanenza degli anziani nel mondo del lavoro servirebbero criteri di volontarietà, flessibilità, misure di incentivazione per conciliare pensione e reddito, anche con forme di cumulo attenuato.

L’importante per l’anziano attivo è trovare un riconoscimento: conta molto il sentirsi gratificato. Questo può avvenire in campo lavorativo, ma nel volontariato, ulteriore grande ambito in cui chi ha passato una certa età può impegnarsi e può sia dare che ricevere benessere».

L’invecchiamento acuito dal calo delle nascite pone seri problemi alla sanità e al welfare. Ma questa situazione può avere qualche effetto positivo?

«La componente più anziana della popolazione di solito tende a spendere di meno perché è più concentrata su un bisogno di vivere in modo soddisfacente il presente, con una moderata proiezione nel futuro: cosa che naturalmente si riflette anche sui consumi. Sono più “di manutenzione” che di “investimento”. Però dobbiamo pensare che gli anziani dei prossimi decenni saranno verosimilmente un po’ diversi da quelli di oggi. Più in salute, grazie alla prevenzione. E anche relativamente benestanti, in media, perché le pensioni attuali, così come quelle dei prossimi anni, dovrebbero mantenersi di livello adeguato, in quanto costruite su carriere ancora piene. Cosa che, viceversa, è tutt’altro che garantita per chi è giovane oggi. Dunque gli anziani avranno una maggiore capacità di spesa e, per una storia generazionale più versata al consumo, rispetto ai loro genitori, avranno anche un tenore di vita che li spingerà a consumare più di quanto non facciano gli attuali. Tenuto conto che dovranno anche compensare, acquistando servizi, il minor funzionamento di quella che fu la solida rete familiare».

In quali settori si può pensare di stimolare maggiori consumi da parte degli anziani?

«Nei settori che mettono al centro le loro esigenze di soggetti che, seppur “anagraficamente maturi”, aspirano a mantenere uno stile di vita efficiente e di buona qualità. Sarà un consumo che guarda sostanzialmente al presente, ma cercando di sostenere adeguati standard anche per il futuro. Quindi la salute, senza trascurare aspetti come i denti, l’udito, la vista: operando scelte a cui fino a poco tempo fa si rinunciava, proprio per l’idea di essere vecchi. Poi c’è il turismo, viaggi e crociere per chi può permetterseli, oppure le stesse attività di fitness. Inoltre, poiché parliamo di persone via via sempre più istruite, vanno messi in conto i consumi culturali, gli spettacoli, la lettura. Ma anche l’abbigliamento. In conclusione, si può immaginare un insieme di comportamenti ispirati ad una sorta di egoismo benevolo, che potranno trasformarsi in scelte di consumo spesso ad un livello più alto di quello attuale».

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