No vax in azienda, prende forza l'idea della sospensione

No vax in azienda, prende forza l'idea della sospensione
di Giusy Franzese
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Mercoledì 3 Marzo 2021, 11:52 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:24

Sembrava solo un dibattito tra giuslavoristi di tutto il mondo. Sta diventando invece una questione che potrebbe incidere, e non poco, sulla nostre vite di lavoratori, soprattutto se dipendenti. La domanda è: può un’azienda licenziare un suo dipendente perché si è rifiutato di fare il vaccino contro il Covid? La risposta è complessa. Ed è presumibile che prima di arrivare al dunque, i tribunali saranno sommersi da valanghe di ricorsi. Non è una domanda che sta sorgendo solo in Italia, se la stanno ponendo tutti i Paesi dove il vaccino non è obbligatorio. Ed ecco il punto: se non è obbligatorio, l’azienda non può licenziare il dipendente no-vax. Ma allora perché si parla di “patentino” (ovvero la certificazione dell’avvenuta somministrazione del vaccino) per poter usufruire di tutta una serie di servizi pubblici e privati? Il viaggio in aereo, ad esempio, o l’entrata in palestra, o ai musei, o ancora a teatro e al cinema. In Israele, dove continua a ritmi velocissimi la campagna di vaccinazione, da un paio di settimane senza il “patentino” in alcuni luoghi non si entra. A rigor di logica se mi vieti di entrare o frequentare un luogo, anche pubblico, perché non sono vaccinato e potrei infettare gli altri, lo stesso vincolo varrebbe a maggior ragione sul posto di lavoro. Nello Stato del Vaticano hanno già deciso. Nel decreto firmato l’8 febbraio scorso dal presidente della Pontificia Commissione, il cardinale Giuseppe Bertello, si dice espressamente che il rifiuto a vaccinarsi potrebbe portare «conseguenze di diverso grado che possono giungere fino alla interruzione del rapporto di lavoro». Non è automatico, quindi, ma la possibilità c’è. Spiegata con la seguente affermazione: «Il rifiuto del vaccino può costituire anche un rischio per gli altri e tale rifiuto potrebbe aumentare seriamente i rischi per la salute pubblica».

LO SCENARIO

 La via è quindi aperta. In quanti la seguiranno? In realtà c’è chi si è portato avanti. Infatti, se a casa del Papa per ora è solo un rischio, altrove è realtà quotidiana. Nella civilissima Germania, ad esempio, dove in uno dei land tedeschi più colpiti dal Covid-19 – la Sassonia-Anhalt – sette infermieri di un servizio a domicilio per anziani a Dessau si sono rifiutati di farsi vaccinare e sono stati licenziati. Immediati i ricorsi in tribunale, ma ancora non c’è una decisione. In Olanda sono a metà del guado: un giudice ha autorizzato la sospensione dello stipendio di un dipendente che si rifiutava di mettere la mascherina durante la consegna del cibo ai clienti. Da noi è ancora presto, se non altro perché la percentuale di popolazione che ha potuto ricevere il vaccino è ancora troppo bassa. I no-vax sostengono che l’obbligo di vaccinarsi o c’è o non c’è. E visto che non c’è, ogni persona ha il diritto di scegliere. Ma i diritti degli altri? Di tutti coloro con i quali, durante la prestazione lavorativa, si viene in contatto? È ovvio che più il lavoro si svolge a contatto con esterni più il problema è rilevante. È il caso sicuramente degli operatori sanitari; ma anche di tutti i vari front-office: dal dipendente pubblico allo sportello fino al cassiere del supermercato.

Così come degli autisti dei mezzi pubblici. La Regione Sicilia già a inizio pandemia ha emesso un’ordinanza che obbliga tutti gli operatori sanitari a vaccinarsi contro l’influenza. Un’infermiera si è rifiutata, è stata sospesa per “inidoneità temporale”, ha fatto ricorso al tribunale di Messina, il giudice le ha dato ragione. Il parere dei nostri esperti però non è concorde. Raffaele Guariniello, ex procuratore aggiunto di Torino, e il giuslavorista Pietro Ichino ad esempio sono convinti che licenziare in questi casi è possibile. Gli esperti dello studio Toffoletto De Luca Tamajo, propendono per soluzioni meno traumatiche: «In Italia, come in gran parte dei Paesi, nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario senza una specifica regolamentazione legale». Le aziende, però, hanno l’obbligo di salvaguardare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti e molte, come per esempio ospedali, supermercati e trasporti, hanno anche una responsabilità verso terzi. Il dipendente che rifiuta il vaccino potrebbe essere spostato a lavorare da remoto o in totale isolamento, se la mansione glielo consente, oppure sospeso dalla prestazione, senza diritto alla retribuzione» osserva l’avvocato Aldo Bottini, partner dello studio legale.

IL QUESITO FORMALE

 Intanto la questione sta avendo i primi effetti pratici. Il caso più famoso riguarda l’ospedale San Martino di Genova: un gruppetto di infermieri ha rifiutato il vaccino contro il Covid e in 15 poi si sono ammalati. Il direttore sanitario ha chiesto ufficialmente all’Inail: «Devono essere considerati in malattia o dovranno essere considerati inidonei alla loro attività professionale?». L’Inail sta valutando: una risposta ancora non è arrivata, proprio perché il nodo non è semplice da sciogliere. I giuslavoristi di mezzo mondo riuniti nell’associazione Ius Laboris, che coinvolge esperti di 59 Paesi, si sono scambiati le idee in proposito e ne è uscita fuori una indagine molto interessante. L’opinione comune è che il licenziamento del dipendente che rifiuta il vaccino contro il Covid potrebbe essere giustificato soltanto se la mansione svolta non può essere prestata anche in smart working o in luoghi che limitano fortemente il contatto con altri colleghi e persone esterne. Solo dopo aver verificato che ciò non è possibile, il datore di lavoro può considerare non idoneo il dipendente e arrivare a sospenderlo dalla prestazione senza retribuzione. In alcuni Paesi già funziona così. Nel Regno Unito, negli Usa, in Brasile, Francia, Olanda: i datori di lavoro possono impedire ai dipendenti non vaccinati di accedere fisicamente al luogo di lavoro, concordando una modalità alternativa per svolgere la prestazione (lavoro agile o mutando mansioni), oppure usufruendo di un congedo. In Polonia, Austria e Germania è invece consentito il trasferimento temporaneo del dipendente in un luogo più sicuro. E se rifiuta? Secondo i giuslavoristi come extrema ratio può scattare anche il licenziamento. Ma non è per niente una strada facile. Anche perché quasi dappertutto le norme sui trattamenti dei dati sanitari dei dipendenti sono chiare e severe: sono dati sensibili, riservati, è quindi vietato tenere registri di chi si è vaccinato e chi no. Come si esce da questo labirinto di diritti e doveri? Qualcuno propone il vecchio ma sempre efficace metodo: l’argent, ovvero premi in soldi da parte delle aziende a chi si vaccina e lo rende noto al suo datore di lavoro. Alcuni Paesi, come il Lussemburgo e la Polonia, lo stanno già consentendo.

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