«Ci vuole anche fantasia, non possiamo essere banker che si limitano a mettere una firma». Orlando Barucci, fiorentino, 55 anni, è l’uomo che insieme ai suoi partner ha raccolto l’eredità di Guido Roberto Vitale, il banchiere d’affari scomparso due anni fa a 81 anni che è stato uno dei protagonista della finanza milanese per oltre mezzo secolo. Nato a Vercelli in una famiglia di origine ebrea, milanese di adozione, di formazione anglosassone (aveva studiato alla Columbia University a New York) e di idee progressiste, Vitale aveva una personalità molto spiccata. Dopo aver lavorato a Mediobanca, aveva creato nei primi anni Settanta con Carlo De Benedetti la banca d’affari Euromobiliare e all’inizio degli anni Novanta la Vitale Borghesi & C (poi comprata da Lazard). La sua ultima creatura era stata la Vitale&Co, una boutique di consulenza finanziaria fondata nel 2001 nella settimana degli attentati dell’11 settembre con un gruppetto di giovani fra cui c’erano, oltre a Barucci, Alberto Gennarini e Daniele Sottile, partner ancora oggi della società.
LA FONDAZIONE
«Al momento della fondazione eravamo in sei», ricorda Barucci. Vitale sapeva puntare sui giovani. «È stata una sfida, io non avevo clienti, è stato lui che ci ha spinto a essere propositivi, sempre. Aveva una grande visione, qualche volta eravamo anche in disaccordo, ma comunque era sempre stimolante». L’incontro avvenne per motivi familiari. Il padre Piero Barucci, ex ministro del Tesoro dei governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi fra il 1992 e il 1994, ha avuto sempre molta influenza sulle scelte del figlio. «Mio padre influenza direttamente o indirettamente quasi tutte le mie decisioni, alcune volte anche nel senso che faccio l’opposto», ammette. «Mi ha spinto sempre a fare quello che mi piace e a impegnarmi molto senza montarmi mai la testa. Poi lui ha paura che diventi troppo milanese», scherza. Tornando a Vitale, quando Barucci si trovò a decidere se accettare l’offerta di lavoro di una banca d’affari andò a chiedere consiglio proprio a lui. All’epoca, dopo una laurea in economia a Firenze e una breve ma decisiva esperienza a Parigi presso Lazard, Barucci lavorava per il gruppo Ferruzzi-Montedison, che dopo il crac che lo aveva travolto era stato affidato alle cure di Enrico Bondi. «Scoppiata la crisi, conobbi per motivi di lavoro Bondi che subito dopo l’approvazione del piano di riorganizzazione mi offrì un posto nella struttura che avrebbe dovuto gestirlo. Lì ho avuto vari ruoli fino a quello di responsabile amministrazione e controllo». Barucci in pratica contribuì alla gestione di tutta la ristrutturazione del gruppo che era stato dei Ferruzzi. Lavorò a stretto contatto con Bondi e soprattutto con il suo numero due dell’epoca, Guido Angiolini. «Durante quel periodo – racconta – ebbi un’offerta da una banca d’affari a Londra: mi confrontai con varie persone, fra cui Vitale. Andai da lui e mi disse: “Ma no, cosa va a fare. Deve restare in Montedison”. Lavorare con Bondi però era faticoso. Sono stati anni molto belli e formativi ma complessi. Comunque fu la spinta a restare. Rimasi e dopo nove mesi Vitale mi chiamò e mi disse: “Lascio Lazard e faccio una boutique nuova”. Così con un po’ di coraggio ho lasciato Montedison e ho aiutato a fondare la Vitale&Co». Da lì iniziò l’avventura del nuovo istituto, specializzato nella consulenza finanziaria alle imprese. «La nostra caratteristica è la profondità di analisi rispetto agli advisor finanziari normali – osserva Barucci – Cerchiamo di capire l’azienda, rompiamo le scatole per capire dove è il business». Un insegnamento della finanza old style. «Prima di tutto quando c’è un deal devi capire cos’è l’azienda e per questo non è sufficiente guardare solo i numeri». La Vitale – oggi senza &Co in omaggio al suo fondatore – ha da poco una sede anche a Roma grazie all’arrivo di Roberto Sambuco, ha aperto al real estate, con Paolo Bellacosa e Giovanni Paviera, e segue alcune delle partite più importanti della finanza italiana. Con una peculiarità che è rimasta la stessa fin dalla fondazione: l’indipendenza dalle grandi banche. «È ciò che ci differenzia, uno dei nostri punti di forza».
L’INDIPENDENZA
Barucci cita poi la professionalità e «l’amore con cui si fanno le cose» fra le caratteristiche distintive della sua boutique. Che conserva gli insegnamenti di Vitale. I principali, Barucci li elenca così: «I deal vanno fatti se vale la pena e non per prendere una commissione. Non siamo persone per tutte le stagioni e bisogna essere sempre corretti con il cliente. Ma soprattutto cercare di dire ciò che si pensa, non essere soggetti passivi. Vitale – continua Barucci – aveva questo stile sincero, anche crudo a volte, che però rappresentava una grande ricchezza». Nonostante la scomparsa dell’anziano fondatore, la società ha continuato a svilupparsi: il fatturato è aumentato del 50% in due anni arrivando a 25 milioni e circa 400 operazioni seguite dalla fondazione. «La crescita è dovuta ai suoi insegnamenti perché aveva messo i semi giusti. Con lui siamo maturati». Oggi il campo d’azione della società è soprattutto nel settore caldo delle tlc, compreso il progetto della rete unica (che però non sembra piacere più al nuovo governo), nelle filiere del made in Italy e nel real estate, quindi logistica, alberghi di lusso, abitazioni. E poi banche e servizi. «Bisogna far crescere le aziende ma lasciando e potenziando al massimo la fantasia dell’imprenditore, che è ancora la cosa più importante dell’industria italiana», sostiene Barucci, che tuttavia considera cruciale la dimensione dell’impresa. «Ormai c’è una taglia relativa non assoluta: dipende dal settore, dagli investimenti che servono e dai concorrenti che hai». Il web infatti ormai ti consente di raggiungere ogni angolo del mondo. Insomma non serve essere un gigante. «Oggi trovare i capitali, se c’è una buona idea, non è così difficile».