Pnrr, spinta al Pil e meno debito: con i fondi europei previsto anche un taglio al deficit

Prudenza e pochi trionfalismi. La linea l’ha data Mario Draghi quando ha fatto osservare come il lusinghiero tasso di crescita che si prospetta quest’anno (alla fine potrebbe avvicinarsi al 6 per cento) resti comunque il risultato di un rimbalzo, che segue la caduta senza precedenti del 2020. E questa impostazione, che il ministro Daniele Franco condivide in pieno, sarà applicata alla preparazione della legge di Bilancio per il 2022, la cui messa a punto entrerà nel vivo a fine mese con la diffusione della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef). Il fatto che lo scenario sia un po’ più roseo di quello ipotizzato la scorsa primavera (quando l’incremento del Pil si fermava al 4,5 per cento) non cancella il problema principale che il governo ha davanti: definire una manovra non di emergenza ma orientata a porre le premesse per una crescita il più possibile robusta e duratura, il prossimo anno e quelli a venire.

Allo stesso tempo a Palazzo Chigi e a Via Venti Settembre c’è la consapevolezza che anche dalle grandezze di finanza pubblica dovrà venire qualche segnale di graduale inizio di ritorno alla normalità: quindi ridimensionamento del megadeficit atteso ancora per quest’anno (sebbene un po’ inferiore alle previsioni di aprile) e avvio del percorso di riduzione del rapporto debito/Pil. La maggior crescita regalerà qualche decimale di miglioramento anche ai saldi di bilancio, ma è una circostanza favorevole che non cambia più di tanto il quadro.

LA SPINTA ESPANSIVA

In queste condizioni, in linea con quanto suggerito dal commissario Paolo Gentiloni per i Paesi ad alto debito, la spinta espansiva della manovra dovrà venire in larga parte dagli investimenti finanziati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Transizione 4.0, proroga del superbonus, spesa per infrastrutture) con uno spazio ridotto per ulteriori spese. Che del resto sono già in buona misura “prenotate” per priorità di politica economica, che corrispondono anche a problemi politici aperti nella maggioranza. È il caso ad esempio della riforma degli ammortizzatori sociali, che secondo lo schema predisposto dal ministero del Lavoro necessita di una dote di 8 miliardi (ne sono disponibili solo 1,5 reperiti grazie alla cancellazione di un semestre di cashback). Oppure delle nuove forme di flessibilità pensionistica che dovranno prendere il posto di Quota 100 (con il Mef impegnato comunque a limitare l’impatto finanziario privilegiando l’allargamento di strumenti già esistenti). E delle altre voci “indifferibili” che tradizionalmente vengono rifinanziate in autunno. Il dossier su cui questo approccio si manifesterà in modo forse più evidente è quello della riforma fiscale.

Il ministro Franco ha già chiarito che la riduzione del carico fiscale non potrà essere fatta in disavanzo. E dunque i miliardi di gettito che verranno meno in conseguenza della futura riduzione delle aliquote dovranno essere compensati con quelli ulteriormente recuperati sul fronte della lotta all’evasione ed eventualmente della razionalizzazione delle attuali agevolazioni. Siccome queste due operazioni per forza di cose non potranno diventare operative in tempi rapidi, anche il calo dei tributi seguirà i tempi più lunghi della delega e potrebbe dunque slittare fino ad inizio 2023, salvo l’eventuale “anticipo” da inserire nella prossima legge di bilancio con le poche risorse già disponibili.

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