La pensione di scorta si sgonfia. E va peggio per i meno giovani

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di Marco Barbieri
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Mercoledì 2 Dicembre 2020, 14:49 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 23:56

Abbiamo bisogno di tempo. E di crescita economica. In fondo, tempo e crescita sono i fattori che decidono il futuro della pensione. Meglio parlarne al singolare. La pensione è un dato della realtà. Di ciascuno. Le pensioni rischiano di diventare una metafora della complessità inestricabile del futuro. Ma la realtà di questi tempi è dura. E i numeri sono sempre maledettamente testardi. Il crollo del Pil cui stiamo inesorabilmente assistendo ci fa prevedere con certezza una criticità profonda delle prestazioni previdenziali future. «L’andamento del Pil rappresenta il “motore” delle pensioni calcolate con il metodo di calcolo contributivo. Le pensioni dei prossimi quindici anni, che sconteranno maggiormente l’effetto di questa recessione, avranno una quota contributiva sempre più preponderante, nell’ordine del 75% della prestazione». Lo ricorda Luca Di Gialleonardo, di Mefop.Pil che calo vuol dire pensioni più magre.

GLI ELEMENTI

 «La crisi in atto, con forti ripercussioni sul mercato del lavoro e sull’economia globale, sicuramente ha anche una ricaduta sulla previdenza, sia di primo pilastro che complementare, sia sull’adeguatezza che sulla sostenibilità» commenta Tiziana Tafaro, presidente del consiglio degli Attuari. E aggiunge: «In merito alla sostenibilità nel secondo pilastro pochi sono i fondi che hanno una garanzia di rendimento, erogano rendite direttamente o hanno una promessa sulla prestazione, la cosiddetta prestazione definita, ma per questi, tenendo conto della normativa sulla solvibilità prevista, potrebbero verificarsi effetti negativi sul bilancio tecnico, a causa della crisi sui rendimenti finanziari, già cominciata prima della pandemia». Proprio quando alla “pensione di scorta” si chiede di performare meglio, per prepararsi a integrare le prestazioni ridotte del primo pilastro, ecco che ci si scontra con le criticità delle basse contribuzioni, delle basse adesioni ai fondi e con i bassi rendimenti del mercato finanziario, che dovrebbero essere la benzina delle future prestazioni “complementari”. Non è strano parlarne oggi, quando si svolge l’assemblea di Assofondipensione .

I NUMERI

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Gli ultimi dati messi a disposizione da Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, confermano la flessione dei versamenti contributivi.

Il punto più basso è stato toccato a marzo-aprile. Ma complessivamente nei primi nove mesi del 2020, la differenza del flusso incassato rispetto al corrispondente periodo del 2019 è tornata di poco positiva, nell’ordine dell’1 per cento. Negli anni precedenti, il trend di crescita dei contributi era stato nell’ordine del 5 per cento. «Sono dati che non mettono a rischio il sistema, che resta stabile. Ma è legittimo chiedersi se il sistema sia ancora adeguato» commenta Di Gialleonardo. Che al Mefop si è esercitato in qualche proiezione sulle prestazioni di previdenza complementare. E si scopre che a soffrire di più saranno i lavoratori meno giovani. «Se stimiamo in almeno tre anni l’effetto negativo della crisi economica scatenata dalla pandemia – aggiunge il dirigente Mefop – vedremo ridursi la rendita tra il 9 e il 10% per i lavoratori tra i 30 e i 45 anni, mentre la pensione di scorta potrebbe vedersi ridotta fino al 29% per un lavoratore che sia sulla soglia dei 60 anni». In momenti di incertezza anche un apostolo della previdenza complementare come Sergio Corbello, presidente di Assofondipensione, si fa meno integralista: «La posizione presso un fondo di previdenza complementare non è un “Moloch” intangibile. In caso di effettivo bisogno – ma l’effettività va valutata dal singolo freddamente e razionalmente – l’aderente, senza fornire motivazione alcuna, ha facoltà di richiedere al fondo un’anticipazione sino al 30% del valore della sua posizione individuale. È una scelta dolorosa, che contraddice gli scopi previdenziali per cui si è aderito alla previdenza complementare, ma a mali (economici) estremi, estremi rimedi».

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