Arriva il tetto, ma non il gas: tempi non brevi per i rigassificatori e nuovi giacimenti

Golar Tundra. Un nome che per ora dice poco.

Ma presto, soprattutto se il prossimo inverno sarà particolarmente rigido, è un nome destinato ad entrare nel lessico corrente. Golar Tundra però, non è un calciatore, una rock star o un influencer. È una nave. Una nave particolare. Trasforma il metano dallo stato liquido a quello gassoso. Snam l’ha acquistata per 350 milioni di dollari. Una volta arrivata nel porto di Piombino, sarà in grado di fornire alla rete italiana 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Da sola, la Golar Tundra, è in grado di aumentare la capacità di rigassificazione nazionale del 6,5%. Piombino, insomma, è il salvagente italiano nella crisi del gas. Mentre l’Europa sta provando a mettere un tetto al prezzo del metano, ormai del tutto fuori controllo per l’uso come arma di ricatto da parte di Mosca, i Paesi dell’Unione europea stanno facendo a gara per comperare le navi rigassificatrici. Il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, qualche giorno fa ha annunciato l’acquisto della quinta nave Fsru. Sarà ancorata a Wilhelmshaven e insieme alle altre quattro consentirà a Berlino di avere una capacità di rigassificazione di 25 miliardi di metri cubi l’anno. La corsa alle navi, però, non sembra essere abbastanza veloce da poter rimpiazzare il gas russo in tempi così brevi.

IL NODO

Nel prossimo inverno, insomma, il metano rischia comunque di scarseggiare. A fine agosto, subito prima del blocco del North Stream, Mosca stava fornendo all’Europa, secondo i dati del Centro Bruegel, 856,8 milioni di metri cubi di gas naturale ogni settimana. Un anno fa le importazioni ammontavano, a questo punto dell’anno, a 2.719,4 milioni di metri cubi. Ci sono, certo, altri fornitori. L’Algeria, soprattutto grazie ai nuovi accordi sottoscritti con l’Eni e con il governo italiano, ha aumentato le sue esportazioni di metano verso il Vecchio Continente. Se un anno fa forniva circa 583 milioni di metri cubi di gas, adesso ne sta facendo arrivare stabilmente circa 70-80 milioni in più a settimana. La Norvegia, Paese Nato e grande produttore di gas, in questo momento non ha aperto del tutto i suoi rubinetti per venire incontro alla sete europea di metano. Anzi. Sempre secondo i dati del think tank Bruegel, citati da Energia Oltre, Oslo nel 2021 forniva 2.495,2 milioni di metri cubi a settimana e oggi, invece, è ferma a 2.382,7 milioni di metri cubi. Sostituire il gas russo, insomma, si sta rivelando più complicato del previsto. Il gas liquefatto, soprattutto americano, sembra per adesso l’unica vera fonte capace in qualche modo di dissetare l’Europa. Un anno fa il Vecchio Continente importava 1.074,4 milioni di metri cubi di gas liquefatto a settimana, quel dato è cresciuto fino a 2.390,1 milioni di metri cubi. Si tratta, in gran parte, di metano dirottato dai produttori americani verso l’Europa sottraendolo a un altro continente particolarmente assetato in questo momento, l’Asia. Gli europei, per adesso, pagano meglio. Molto meglio, con i folli rialzi della Borsa olandese Ttf.  Dunque, in molti iniziano a porsi una domanda: un eventuale tetto al prezzo del gas riguarderà anche quello liquefatto di origine statunitense?

LA DINAMICA

 Il tema di prezzo e disponibilità del gas non è il riflesso di una medesima situazione. In questo momento il prezzo dà un messaggio di scarsità, ma non è detto che se viene risolto il problema della disponibilità si risolve anche il problema prezzo; mentre a seconda di come sarà definito il price cap si potrebbe avere un maggiore problema di disponibilità. Si tratta di dover risolvere due problemi insieme che dovrebbero essere legati ma che, in realtà, per le dinamiche del gioco delle aspettative hanno perso la loro relazione diretta. Insomma, sarà necessario fare attenzione – nelle soluzioni che verranno attuate – a non aggravare uno dei due. Entrambi vanno risolti con urgenza, anche se in questo momento appare più grave il problema del prezzo, su cui l’Europa ha deciso di provare ad agire, avendo posto rimedio al problema di breve termine della disponibilità con il riempimento degli stoccaggi, che ormai hanno superato l’80% e viaggiano verso il 90%. Ma a prescindere dal prezzo il tema disponibilità in primavera tornerà prepotentemente sul tavolo, perché non va dimenticato, che quest’anno l’Italia ha beneficiato di piene forniture dalla Russia fino a giugno, e questo ha certamente attenuato gli effetti della dipendenza. Qualche giorno fa, il presidente degli industriali Carlo Bonomi ha spiegato senza girarci troppo attorno, che all’inizio del prossimo anno, nonostante tutto, all’Italia rischiano di mancare ancora 4 miliardi di metri cubi. Sembra poco, ma in realtà si tratta di un numero in grado di mettere in ginocchio l’intero sistema produttivo italiano. Dunque, la risposta non può che venire da soluzioni infrastrutturali che diano certezze definitive. E parlando di soluzioni infrastrutturali, in primis ci sono i due rigassificatori di emergenza, quello di Piombino con la Golar Tundra, e quello di Ravenna. La situazione per l’Italia è comunque apparentemente migliore di quella di altri Paesi. Roma si è mossa velocemente, con gli approvvigionamenti via pipeline dal nord d’Africa: Algeria e Libia. Nel primo caso, visti i nuovi accordi la previsione è di un utilizzo inedito e crescente, mentre per il gas libico si resta molto al di sotto del potenziale, soprattutto a causa del grave conflitto che divide il Paese il cui epilogo è difficile da prevedere e ancor più da risolvere.

IL TESORO OFFSHORE

 Ma c’è anche altro gas che in futuro potrebbe venire in soccorso all’Italia: quello dei giacimenti del Mediterraneo orientale, dove però non ci sono infrastrutture adeguate. A Cipro per esempio, viste le recenti scoperte, o si costruisce una nuova pipeline (lunga e costosa) oppure si deve puntare sulla flessibilità garantita dal gas liquefatto. Spostandoci in Egitto, lì esistono già due poli di gassificazione. Dal punto di vista logistico siamo a due-tre giorni di nave da Ravenna, che è un tempo molto più ragionevole rispetto a quanto serve a una nave per arrivare dal Golfo Persico, circa un mese, o dall’America, con evidenti vantaggi di costo e ambientali.  La parola d’ordine è avere spare capacity. Di che si tratta? Della possibilità di avere a disposizione risorse immediatamente disponibili che possono essere attivate in caso di interruzioni delle normali forniture di petrolio o gas. Mohammed Barkindo, qualche giorno prima di lasciare la carica di segretario generale dell’Opec (e di morire, il 6 luglio 2022), aveva affermato che la capacità inutilizzata oggi non esiste. Per quanto riguarda gli idrocarburi, la capacità inutilizzata è il totem di ogni ciclo produttivo e quindi un elemento che influisce sui cicli rialzista o ribassista. È una sorta di assicurazione e, per utilizzare un’espressione enfatica ma accurata, il cosiddetto “prezzo della paura”. E la paura è causa e motore di molte dinamiche: per questo in un mondo come quello degli idrocarburi a ogni riduzione della spare capacity si assiste a un repentino aumento dei prezzi. Proprio ciò che sta accadendo oggi.

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