I capitali in uscita dagli Usa in cerca di “porti sicuri” tra oro, Bund e anche Btp

Li chiamano “safe assets”. Nella sostanza sono dei porti sicuri dove i capitali mondiali si rifugiano quando c’è aria di tempesta.

Ce n’è uno che per lungo tempo è stato considerato, più di altri, un approdo privo di rischio dove i grandi fondi sono sempre corsi a depositare fette importanti delle proprie ricchezze quando le cose sui mercati mondiali si mettevano male: le casse del Tesoro americano. Se Wall Street va giù, quasi in un riflesso pavloviano, gli investitori si rifugiano nei T-Bond, i Treasury, i titoli pubblici emessi dalla principale economia mondiale, gli Stati Uniti d’America. E questo anche perché il dollaro è la principale valuta nelle riserve mondiali, vale quasi il 57 per cento, e quella predominante negli scambi commerciali globali. Fino al 2 aprile scorso le mura di questa fortezza sembravano incrollabili. Poi è accaduto l’impensabile. Donald Trump ha annunciato nel Giardino delle Rose della Casa Bianca l’imposizione di dazi praticamente a tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, in quello che ha ribattezzato il “Liberation Day”.

L’ANDAMENTO

Sul mercato è successo quello che nessuno si aspettava. Le Borse sono andate giù, ma i soldi in uscita da Wall Street non si sono precipitati, come al solito, sui T-Bond. Sono andati altrove. L’America ha conosciuto una fuga di capitali, un evento che di norma riguarda i Paesi in via di sviluppo. Dollaro indebolito, tassi dei Treasury su fino a sfiorare il 5 per cento. La prima domanda che il mercato si è posta è: chi ha venduto? In molti si sono voltati verso oriente, e hanno iniziato a guardare con sospetto alla Cina, l’avversario “strategico” dell’America di Trump. Ma la verità è che Pechino sono ormai diversi anni che disinveste dai T-Bond. In due lustri è passata da 1.270 miliardi a 759 miliardi di titoli di Stato americani nelle sue riserve. A vendere sono stati invece soprattutto gli hedge fund americani, soprattutto quelli attivi in una particolare forma di speculazione, chiamata “basis trade”, che sfrutta la differenza di prezzo nei buoni del Tesoro tra il mercato dei futures e quello spot. Si acquistano i futures per impegnare meno liquidità, ma il presupposto è che il prezzo a termine dei titoli di Stato sia superiore a quello sul mercato. Se il prezzo scende si rischiano grosse perdite. Per questo gli hedge, che lavorano con leve molto accentuate, sono corsi a smontare le posizioni sui titoli americani. La caduta dei T-Bond ha spaventato il segretario al Tesoro Steve Bessent, che ha il problema di dover rifinanziare un debito monstre di 36mila miliardi di dollari e ha convinto Trump a sospendere per 90 giorni, fino all’8 luglio, i dazi. Ma tutto questo non ha evitato che gli investitori internazionali non si ponessero un’altra fondamentale domanda: quali “safe assets” ci sono oggi in giro per il mondo? Un porto sicuro per eccellenza rimane l’oro. Non è un caso che le quotazioni del metallo giallo continuino a correre. Da tempo le banche centrali mondiali stanno aumentando le proprie riserve, che sono ormai ai massimi da 26 anni. E non sono solo loro a comprare. «Gli investitori», spiega Kerstin Hottner, Head of Commodities Vontobel, «continuano ad accumulare oro, come dimostra il fatto che oggi il metallo prezioso ha raggiunto per la prima volta nella storia quota 3.500 dollari l’oncia. Il suo impressionante rialzo, che ha superato le aspettative della maggior parte degli analisti per l'intero anno, implica che ci troviamo adesso in un territorio inesplorato. I fattori tradizionali che un tempo influenzavano i prezzi dell'oro, come l'inflazione statunitense e i tassi di interesse», prosegue Hottner,«non sono più i principali motori. Al contrario, l'incertezza sui dazi e le preoccupazioni per la crescita economica globale, unite alla reazione del mercato alle critiche rivolte alla Fed, stanno alimentando la domanda di beni rifugio». Se la domanda di beni rifugio rimarrà forte nei prossimi mesi, l’oro, secondo gli analisti, potrebbe superare i 3.700 dollari entro la metà dell'anno, se non prima. Uno dei market mover in questo caso, è l’indipendenza della Fed americana. Si attende una sentenza della Corte Suprema relativa alla rimozione dei direttori di altre agenzie indipendenti. Se la sentenza fosse favorevole a tali rimozioni, questo potrebbe ripercuotersi anche sulla Fed. Un rischio oggi sottovalutato. Se si concretizzasse, potrebbe portare a ulteriori acquisti di oro. C’è poi un tema che riguarda l’Europa. Il Vecchio Continente ha dei “safe assets” da offrire al mercato globale? Il Bund tedesco è uno di quei titoli che di solito viene classificato tra i “porti sicuri”. Anche qui è interessante vedere cosa è accaduto negli ultimi mesi sul mercato. Quando il neo cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania avrebbe tolto il suo freno al debito pubblico e avrebbe bussato al mercato per raccogliere mille miliardi di euro da destinare alle spese per la Difesa e alle infrastrutture, i titoli tedeschi hanno iniziato a soffrire sul mercato. I rendimenti si sono alzati. Poi, dopo che Trump ha annunciato i dazi, la curva si è invertita. Una parte dei capitali in libera uscita dagli Stati Uniti si è riversata sui titoli del Vecchio Continente, a partire proprio dal Bund tedesco. Certo, il debito tedesco da solo non è in grado di fornire un’alternativa quantitativa adeguata, anche se a questo punto i piani di spesa di Berlino danno una mano ad allargare le emissioni. Anche i Btp italiani stanno accogliendo il ritorno dei capitali esteri. La Banca d’Italia ha certificato che, dopo diverso tempo, gli investitori esteri hanno di nuovo superato la quota del 30 per cento del debito pubblico. Ma la vera svolta sarebbe riuscire a fornire un “safe asset” europeo, Eurobond insomma. Che potrebbero beneficiare anche di un rafforzamento dell’euro come valuta internazionale di scambio e di pagamento, soprattutto se si riuscisse ad accelerare sul progetto dell’euro digitale. Rimane, infine, da decifrare un ultimo asset e capire se potrà essere considerato “safe”: il Bitcoin. La valuta digitale viaggia a ridosso dei 100mila dollari, considerata una soglia psicologica. Il suo comportamento sembra ormai più simile a quello di un “oro digitale” che di un asset tecnologico. Ma serviranno nuove conferme. Una delle differenze tra i porti reali e i porti finanziari, è che chi naviga in questo secondo tipo di mare è molto più lesto ad abbandonare l’approdo se vede che è traballante.

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