Food, Andrea Bonomi acquisisce la maggioranza di Eataly: «Stupirà anche la Cina»

Andrea Bonomi, che cosa ha spinto Investindustrial ad acquisire la maggioranza di Eataly, nata con grandi ambizioni poi però frenata da un fardello di 200 milioni di debiti?

«Eataly rappresenta un player unico che la famiglia Farinetti ha guidato nella rivoluzione del concetto di cibo italiano di alta qualità in tutto il mondo. Ci affascina l’idea di sostenere il prossimo stadio di crescita del gruppo, senza intaccare il Dna e l’unicità e mantenendone profilo di sostenibilità, controllo di filiera ed etica».

«Prossimo stadio» potrebbe anche voler dire cambio di strategia. O comunque una New Eataly. Non a caso avete cambiato subito l’amministratore delegato nominando Andrea Cipollone.

«Vogliamo essere per Eataly un partner industriale di lungo periodo, forti della nostra esperienza nel promuovere lo sviluppo delle aziende che affianchiamo in un’ottica globale improntata ai massimi principi di sostenibilità. Grazie al know-how acquisito attraverso un importante track-record di investimenti in diversi brand del Made in Italy con prospettive di crescita sui mercati esteri e al nostro network internazionale di potenziali partner industriali e investitori finanziari, Eataly potrà farsi portabandiera del Made in Italy in tutto il mondo».

La società, colpa della pandemia o della crisi provocata dalla guerra, oggi è però in difficoltà oggettiva. Lo prova il fatto che dalla valutazione massima di 3 miliardi di cui si favoleggiava al tempo della tentata quotazione in Borsa, ora a Investindustrial sono bastati circa 340 milioni per acquisire il 52%. Da dove comincerete per rimetterla entro i binari virtuosi di una redditività adeguata?

«I capitali e la logistica di Investindustrial serviranno ad accelerare l’espansione globale di Eataly negli Usa, con l’apertura di uno store a Philadelphia entro la fine del 2023, in Medio Oriente, con l’apertura di un punto vendita all’interno dell’Abu Dhabi Reem Mall con orizzonte a gennaio 2023, e in Italia, dove è già pianificata l’apertura nel rinnovato terminal Fiumicino T3 in autunno». 

Investindustrial non è nuova al business del food, viste le due acquisizioni realizzate negli Stati Uniti. Perché vi attrae il settore?

«Per ragioni strategiche e opportunità immediate. Da sempre il nostro obiettivo è individuare e anticipare le tendenze a livello macro che guideranno il mondo nei prossimi 5 o 10 anni e da lì scegliamo le aziende dove riteniamo poter avere il maggiore valore aggiunto. Non a caso Investindustrial ha già investito nel settore, in ottica di lungo termine, oltre 3,2 miliardi. Del food ci interessa tutto ciò che gravita attorno alla sua sostenibilità: produzione alimentare, ingredienti, integratori, packaging».

Un programma vasto. Ciò significa che avete una strategia già consolidata. Su cosa si basa esattamente?

«In ambito food è basata su tre segmenti: il private label, attraverso La Doria, produttore europeo di legumi, pelati, polpa di pomodoro e succhi di frutta e la recente acquisizione della divisione preparati alimentari di TreeHouse Foods (Usa); la ristorazione, attraverso la catena di ristoranti Dispensa Emilia e adesso Eataly; gli ingredienti, tramite Italcanditi, ovvero frutta e creme per l’industria dolciaria, e Csm Ingredients, multinazionale ingredient-tech con cui stiamo realizzando una vera e propria piattaforma tecnologica e industriale, come testimonia l’acquisizione di Hi-Food; infine l’azienda di ingredientistica Parker Food Group (Usa)». 

Una strategia che presuppone una indagine capillare nell’intera filiera. Quanto spende Investindustrial nella ricerca?

«L’evoluzione del food significa oggi prestare attenzione all’evoluzione degli ingredienti, che saranno sempre più naturali, sostenibili e bilanciati. In Hi-Food, ad esempio, abbiamo 8 laboratori nell’area R&S. Stiamo aprendo centri di Open Innovation per fare scouting a Singapore, Bremmen, Israele e, l’anno prossimo, anche a San Francisco. Gli oltre 200 milioni che stiamo investendo in R&D porteranno incredibili risultati».

Voi siete presenti in Cina con partecipazioni non modeste. Eataly avrà un futuro anche in quel paese?

«Si, l’altra priorità è la Cina, mercato in cui Eataly non è ancora presente. Abbiamo un fondo di 1,5 miliardi con Unicredit che parteciperà in Eataly e che è dedicato ad aiutare aziende italiane a svilupparsi in Cina. Il nostro ufficio di Shanghai opera come una sorta di capogruppo per cercare sinergie e dimensione, in aggiunta ai nostri capitali».

Quali sono le altre aree di interesse di Investindustrial?

«Oltre al settore food, siamo presenti nei servizi healthcare, nell’industria, nell’high tech, nel design. L’elevato grado di diversificazione del portafoglio ci dà grandi vantaggi, soprattutto dal punto di vista finanziario, in quanto ci consente di soddisfare le attese dei nostri sottoscrittori che si aspettano un rendimento medio annuo abbastanza alto tale da poter garantire le pensioni o lo sviluppo delle loro università, nel caso siano degli endowments universitari».

Ci vuole più coraggio o più spregiudicatezza nell’investire in una fase di mercato volatile per la guerra, i tassi in crescita, l’inflazione e una potenziale recessione?

«Bisogna avere entrambe le cose per sapersi mettere in gioco. La nostra strategia di investimento da sempre punta a sostenere aziende che hanno possibilità di crescita e il nostro approccio viene ulteriormente confermato in momenti di grande discontinuità come l’attuale, in cui chi accetta le sfide può essere un eccellente motore per la crescita supportando società e imprenditori».

In Italia sta per nascere un nuovo governo, cosa si attende sul fronte delle imprese?

«Mi aspetto che il nuovo governo continui a guardare con favore all’Europa e agli Stati Uniti e a difendere i valori che ci legano a questi Paesi, pur contribuendo in modo importante per cercare una soluzione per la pace in Ucraina. Giorgia Meloni ha di fronte a sé un compito difficile. Una volta raggiunta la pace ed eliminate le turbolenze che stanno danneggiando non solo le nostre economie, ma la vita stessa dei nostri popoli, avremo bisogno di un governo che sappia promuovere e sostenere le eccellenze del Paese. Il futuro dell’Italia sta nell’essere globale; l’Europa è importante, ma siamo stimati ed apprezzati a livello mondiale».

Come giudica l’Italia un imprenditore come lei, italiano ma che da sempre dimostra di avere, non solo a parole, una visione molto ampia sul mondo?

«Negli anni le aziende, in Italia ma non solo, si sono gradualmente slegate dal contesto nazionale in cui operano e questo è uno degli aspetti positivi della globalizzazione. L’Italia, economicamente, è più piccola della California. Il nostro potenziale è però molto più alto, per questo dobbiamo fare in modo che tra qualche anno non sia più così. Vincerà infatti chi è orientato a una comunità di consumatori globali. In questo, una chiave di successo dell’industria italiana è la capacità di immettere nei prodotti una spiccata identità italiana che viene riconosciuta da un pubblico globale che ne sa apprezzare il valore e l’altissima qualità. Il futuro dell’Italia sta nell’essere globali. L’Europa è sempre importante, ma il nostro futuro è nel mondo, sia a Est che a Ovest».

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