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Banche, Opa Agricole-Creval, il risiko accelera: a Sondrio già scalpita un cavaliere bianco

Banche, Opa Agricole-Creval, il risiko accelera: a Sondrio già scalpita un cavaliere bianco
Banche, Opa Agricole-Creval, il risiko accelera: a Sondrio già scalpita un cavaliere bianco

C’è chi ricorda la coincidenza temporale con l’inverno 1994, quando il Credito Italiano guidato da Lucio Rondelli, supportato dalla Mediobanca di Enrico Cuccia, lanciò l’Opa sul Credito Romagnolo. La Cariplo, allora pilastro della finanza cattolica, ingaggiò un duro braccio di ferro culminato in una contro-Opa, risoltasi a tavolino a favore del Credito Italiano con una decisione Consob che ha fatto discutere. Al netto dei cambiamenti profondi nel frattempo intervenuti e degli effetti del Covid, il blitz del Credit Agricole con l’Opa sul CreVal di lunedì 23 novembre, secondo alcune banche d’affari potrebbe riproporre uno scenario simile a quello di 26 anni fa. Da segnalare che poco dopo quel blitz, sempre con la regia di Mediobanca, la Comit tentò di conquistare Ambroveneto guidato dal cattolico Giovanni Bazoli: il tentativo fallì, ma fu chiaro a tutti che le due finanze, quella laica e quella cattolica, che fino ad allora avevano convissuto, erano entrate in rotta di collisione marcando un periodo di alti e bassi che sarebbe durato un decennio.

Advisor in campo

Quel conflitto è ormai storia, e non ha più senso riproporlo oggi. E tuttavia certi segnali registrati a Sondrio fanno ritenere che lo scontro bolognese del ‘94 potrebbe in qualche modo rivivere oggi con motivazioni più segnatamente territoriali. L’Opa «amichevole» lanciata dall’Agricole non ha convinto il management del Creval guidato da Luigi Lovaglio, che la definisce «inaspettata e non concordata» nonostante l’offerta di 10,50 euro per azione incorpori un premio del 21% sulla quotazione di Borsa della seduta precedente il lancio dell’Opa e del 52% sulla media dei sei mesi. Tra gli scenari che a Sondrio si vorrebbero esaminare assieme agli advisor Bofa Securities, Mediobanca e Intermonte Sim, ci sarebbe il ricorso a un cavaliere bianco che potrebbe proporre una fusione “domestica” con la Popolare di Sondrio, sempre che l’Antitrust nulla abbia da eccepire; oppure la chiamata in soccorso di un partner estero: i nomi che girano sono quelli di SocGen, Natixis, Bbva. «Non ci sarà rilancio» ha detto Giampiero Maioli, ceo dell’Agricole Italia di fronte al titolo balzato fino a 11.50 euro. C’è da credergli? Anche Carlo Messina assicurò che non si sarebbe mosso, , salvo dover alzare la posta a tre giorni dal traguardo anche perché, rispetto al momento dell’annuncio, il Covid aveva cambiato i parametri. Che farà l’Agricole? Manterrà la posizione? Oppure Maioli cederà? D’altro canto, crescere si deve: è ormai un imperativo assoluto in tutta Europa, se si vuole sopravvivere. Lo impongono la congiuntura dei tassi negativi e l’avvento del fintech che capovolgerà il tradizionale modello di business. Dunque, obbligati a crescere anche per razionalizzare i costi, riducendo i dipendenti, assumendone di nuovi ma più specializzati, in modo da investire con profitto in tecnologia. Per non dire delle attività core, con l’ampliamento del portafoglio clienti cui vendere polizze, gestioni patrimoniali, piccoli prestiti e guadagnare sulle commissioni. A ciò si aggiunga la moral suasion della Bce, che in caso di fusione ora consente di trasformare il badwill in capitale da utilizzare per coprire le rettifiche di valore anche su crediti. E che dire del Tesoro che consente di utilizzare le Dta (i crediti fiscali) per dedurre fino al 2% degli attivi nei merger dopo l’1 gennaio 2021? E che dire della stimata crescita degli Npl a causa della crisi delle imprese? Sono 100 miliardi di crediti marci in più secondo le stime.

Castagna in manovra

La mossa del Credit Agricole, che punta entro maggio alla fusione tra le attività bancarie italiane e il Creval, avrà come risultato un istituto con una quota di mercato del 5%. E se si considera che la soglia ideale per stare in Europa è individuata nel 20%, ben si comprende quanto sia importante questa acquisizione per la banca francese. Per di più in presenza di un risiko bancario che ha ripreso vigore (si pensi anche alla fusione annunciata in Spagna fra Caixa e Bankia) e dove un po’ tutti sono in manovra, peraltro assai meglio posizionati di Agricole Italia che pure ha fatto otto acquisizioni grazie a Maioli, divenendo il settimo polo italiano. Basti osservare che Unicredit conta su una quota di mercato pari all’11%, il Banco Bpm ha il 7,4%, Bper il 6,5% contabilizzando i 620 sportelli in arrivo da Intesa-Ubi, e Mps il 6,2%. Solo Intesa Sanpaolo, dopo l’acquisizione di Ubi, ha raggiunto la soglia del 20%, che per il momento dovrebbe escluderla da altri merger. Ciò di sicuro non vale per Banco Bpm, che ha aperto le porte a una potenziale combinazione con Bper, dopo un’iniziale freddezza: con Carlo Cimbri e Alessandro Vandelli, ci sarebbero stati colloqui avvenuti dopo l’incipit di partenza del capo di Unipol, primo socio a Modena. Per non dire di Mps, divenuta snodo cruciale perché dopo la nazionalizzazione del 2017 costata 8,8 miliardi (5,9 del Tesoro), nel 2021 andrà riprivatizzata: il Mef guarda a Unicredit ma anche dopo lo strappo con Mustier lunedì 30 novembre, il cda mette paletti per prenderla in esame. Dal risiko ormai in accelerazione non sono esclusi Carige dove Ccb, nel prossimo anno, dovrebbe esercitare l’opzione comprando (magari con un altro sconto) la quota del Fitd; e Mcc, protagonista del salvataggio della Popolare di Bari: l’ad Bernardo Mattarella dovrà infatti dare seguito al mandato del Tesoro di creare un polo nel Sud e già ora avrebbe messo nel mirino un istituto napoletano in affanno: la Banca regionale di sviluppo.

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Trasporto aereo, è la crisi più lunga: la politica ora dovrebbe farsi da parte

Trasporto aereo, è la crisi più lunga: la politica ora dovrebbe farsi da parte
Trasporto aereo, è la crisi più lunga: la politica ora dovrebbe farsi da parte

Il trasporto aereo italiano sta vivendo il suo momento di crisi più duro di sempre a causa degli effetti indotti dalla pandemia, e quest’anno vedrà il numero di passeggeri ridursi dai 161 milioni del 2019 a meno di 50 milioni.

Un livello che non si registrava dai tempi dell’introduzione della liberalizzazione del mercato europeo: era il 1997 e quell’anno, l’ultimo del periodo “chiuso”, il mercato domestico contò circa 53 milioni di passeggeri. Tra l’altro, mentre all’inizio dell’estate si pensava che la ripresa dei voli-vacanze fosse di buon auspicio per il ripristino dei flussi, il secondo lockdown non solo ha interrotto il processo di recupero, ma ha reso ancor più disastroso il crollo previsto per fine anno, visto che nell’ultimo trimestre il traffico è in pratica pari a zero. Naturalmente il problema non è solo in capo all’Italia, è il trasporto aereo mondiale che sta rischiando grosso, dato che le aspettative delle maggiori compagnie prevedono che solamente nel 2024 si tornerà ai livelli di traffico del 2019. Per tale ragione è interessante interrogarsi su quale possa essere il futuro di ITA, perché se è vero che i 3 miliardi di euro messi sul tavolo dal governo non sono pochi, potrebbero non bastare a trasformare un business, che finora ha deluso, in una attività che, oltre a servire un Paese particolarmente “lungo” come il nostro, diventi anche capace di produrre profitto da destinare alla crescita.

IL COSTO DEI PARTITI

Bisogna dunque evitare gli errori del passato. Uno sopra tutti: il fatto che sia tornata a essere la compagnia di bandiera non autorizza i partiti a interferire come hanno fatto nel passato, anche se ciò non sarà facile visto che nel consiglio di amministrazione di Ita figurano molti esponenti dei partiti di governo. La loro presenza nel cda è il contrario di ciò che dovrebbe essere, perché è giunto il momento che anche nelle partecipate dello Stato le relazioni industriali seguano finalmente il percorso di una normale azienda destinata a produrre bilanci in attivo. Una replica di quanto accadde alla fine di aprile 2017, quando il voto dei dipendenti impedì l’avvio del nuovo piano industriale rendendo ancora più complicato un già difficile salvataggio, sarebbe inaccettabile di fronte a tante risorse messe in campo a spese dei contribuenti. Ma quando di mezzo c’è l’interesse dei partiti e il rischio di perdere consensi, anche il più energico degli amministratori può finire in angolo. Il rapporto “particolare” tra partiti, sindacati e dipendenti instauratosi nella vecchia Alitalia è stato alla base di molti degli errori commessi dalla compagnia aerea negli ultimi decenni. Nessuno intende negare la necessità che tra azienda e dipendenti, di qualunque categoria, si instauri una dialettica che tenga conto delle istanze che salgono dal basso; sono i privilegi “fuori bilancio” benedetti dai partiti e sostenuti con denari pubblici che risultano inaccettabili a chi paga regolarmente le sue brave tasse e accetta suo malgrado di correre i rischi connaturati alle crisi cicliche dell’economia. Quel che è certo è che il mercato aereo post-pandemia sarà estremamente sfidante e non ci sarà posto per compagnie che non riescono a liberarsi dai lacci politico-sindacali. Ecco perché i 3 miliardi destinati a Ita, pur essendo una cifra ingentissima, potrebbero non bastare: va messo in conto anche il costo della politica.

Fabio Lazzerini: «Vi presento la mia ITA. Aerei green e hi-tech: così si prepara a decollare»

Fabio Lazzerini: «Vi presento la mia ITA. Aerei green e hi-tech: così si prepara a decollare»
Fabio Lazzerini: «Vi presento la mia ITA. Aerei green e hi-tech: così si prepara a decollare»

Uno dei vantaggi è che si parte da zero o quasi e vorrei come linee guida per la nuova compagnia una sorta di “S” al cubo che sta per sostenibilità economica, ambientale e sociale». Fabio Lazzerini, classe 1964, una laurea in economia alla Bocconi, la passione per le scalate e la bici, è da meno di un mese alla guida di ITA, Italia Trasporto Aereo, il vettore che nasce dalle ceneri di Alitalia e che, almeno nelle intenzioni, deve aprire un nuovo ciclo. La cloche è in buone mani perché Lazzerini ha fatto molto bene come direttore generale di Emirates Italia e conosce a fondo l’azienda che guida insieme al presidente Francesco Caio. Caparbio e dinamico, ha il compito di decollare in fretta, sfruttando il primo spiraglio che si aprirà nella crisi che avvolge il settore.

«Guardi – dice nella sua prima intervista, arrivando in bici all’incontro nel centro di Roma – che non si tratta di slogan. ITA deve partire dalla sostenibilità ambientale che significa nuovi aerei green e tecnologicamente avanzati, con meno costi per i carburanti e la manutenzione, e servizi migliori per i passeggeri. Deve aver presente la missione di sostenibilità sociale, avendo il potenziale per essere una delle aziende più rilevanti per l’economia nazionale. Da ciò deriva la sostenibilità economica. Perché è tutto collegato. In una azienda di servizi la persona è al centro».

Parliamo della flotta allora: avrete solo due famiglie di aeroplani, Boeing e Airbus?

«Non adotteremo i modelli del passato. Sicuramente tenderemo a semplificare molto la flotta uniformandola a pochi modelli per raggiungere l’efficienza operativa ed economica. Inoltre, razionalizzeremo le configurazioni, compreremo aerei di nuova generazione, offriremo un servizio di qualità che avrà un forte impatto sul cliente. La flotta obsoleta verrà dismessa e poi, va detto, in questo periodo di crisi, è conveniente andare sul mercato per avere una flotta omogenea, verde e con tanti comfort per i passeggeri».

Con quanti aerei decollerà ITA e quando?

«Il piano industriale è in piena lavorazione, ma non ancora finalizzato. Ora la vecchia Alitalia ha 104 aerei: è probabile che nell’arco del piano quinquennale ci posizioneremo su un numero simile di aeromobili, ma con mix diverso e con un ribilanciamento a favore della flotta di lungo raggio per colmare un gap importante di connettività del Paese».

Ma partirete con 70-75 aerei?

«Molto dipende da come sarà il mercato dopo la pandemia, nessuno oggi può dirlo».

Avrete una dote complessiva di 3 miliardi, la flotta sarà tutta di proprietà?

«L’obiettivo è avere il 60% degli aerei di proprietà e il 40% in leasing operativo».

Per puntare sul lungo raggio…

«Lungo raggio per le tratte ad alto valore aggiunto nel segmento corporate e leisure. Ovviamente le tratte sono principalmente quelle del Nord America, Sud America ma anche Asia in modo selettivo. Presidieremo il medio e corto raggio sia per servire i segmenti corporate che per assicurare un adeguato feederaggio al nostro hub. E ci svilupperemo in modo flessibile appena il vaccino consentirà al mercato del trasporto aereo di ripartire. L’obiettivo, in questa fase, è di intercettare la ripresa, riposizionando la compagnia su quote di mercato superiori al passato».

Anche facendo di Cityliner una sorta di concorrente per le low cost?

«Non è nei nostri programmi, ma saremo flessibili e rapidi nelle risposte. Intendo creare un’azienda piatta, senza stratificazioni burocratiche, con pochi livelli decisionali e, punto centrale, fortemente digitalizzata».

Che significa?

«Significa che investiremo molto in tecnologia. Che cambieremo radicalmente rispetto al passato e saremo all’avanguardia, sia nei processi operativi che nei servizi al cliente. Su un palmare, tanto per fare un esempio, ci saranno tutte le informazioni relative al passeggero, le sue preferenze, il controllo in tempo reale sui bagagli a bordo, e si potranno gestire da remoto tutte le interazioni, finanche un eventuale upgrading, cioè il passaggio a una classe superiore. Tutto in tempo reale e con procedure snelle. Il nostro passeggero sarà molto coccolato. Anticiperemo i suoi desideri. Il personale avrà un ruolo chiave nel successo di Ita, verrà coinvolto, lavoreremo perché si identifichino con la nuova missione al servizio del cliente».

Quanto personale avrete? Si parla di circa 7000 dipendenti…

«Quello funzionale alla compagnia. Anche il numero iniziale sarà legato al piano, dipende dall’evoluzione del mercato».

Una parte dei dipendenti resterà nella società in amministrazione straordinaria?

«E’ probabile. Saremo molto competitivi, rivoluzionando i tempi di risposta al mercato e a tutta l’organizzazione. Sfrutteremo l’intelligenza artificiale in molti processi, dalle prenotazione ai controlli. Per la digitalizzazione investiremo 200-300 milioni».

Come svilupperete il network?

«Linate coltiverà la vocazione per il medio raggio con attenzione particolare al corporate. Fiumicino sarà l’hub. Connettività tra voli domestici, internazionali e lungo raggio verso Nord America, Sud America, Asia, Africa. Non cresceremo per mettere bandiere ma lo faremo in maniera selettiva. Sfrutteremo all’inizio le tratte Covid free, verso gli Usa, poi il resto. Attenzione anche al Giappone. Non manterremo rotte in perdita».

Rivedrete le alleanze?

«Nessuno sa cosa accadrà nel 2022 quando, presumibilmente, la crisi sarà passata. Di certo le alleanze vanno rinegoziate. Ascolteremo Delta, ma sentiremo anche Lufthansa e chiunque approcci questo progetto con prospettive serie e di lungo periodo».

Solo partnership commerciali, quindi?

«Sì. Poi, in un secondo tempo, si potrà parlare di altro, ipotizzare scambi azionari. Di certo gli accordi dovranno essere profittevoli».

E la Cina?

«Non la escludo. Siamo aperti a ogni discussione. Punteremo sul cargo, che con l’e-commerce avrà forte impulso. Siamo in grado di metterci al servizio del Paese per trasportare i vaccini, abbiamo le competenze».

Come affronterete il tema dell’handling?

«Siamo aperti a partnership anche qui, così come nel settore della manutenzione dove pensiamo ad un polo di eccellenza».

Il piano è ambizioso, come farete a dimostrare la discontinuità che l’Europa chiede?

«Per prima cosa dimostrando che il piano industriale rappresenta un’operazione di mercato e ha nella sostenibilità economica la sua ragion d’essere. Inoltre, strutturalmente ci sarà una holding che controllerà il settore volo (piloti, hostess, staff, ecc) e due società distinte per manutenzione ed handling. Queste due realtà saranno aperte ad investimenti industriali che ci permettano di competere sul mercato. ITA avrà il 70% delle attività concentrate sul mercato globale, ribaltando l’assetto della vecchia Alitalia. L’organizzazione sarà completamente diversa, sostanzialmente diversa ben più che “esteticamente” diversa. Una rivoluzione di mercato»

E le tariffe?

«Saranno in linea con il servizio di qualità che offriremo. Con nuove configurazioni della business, più comfort e servizi a bordo. Coerenti con la missione che ci siamo dati».

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