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Banche, la sfida ora si gioca sul welfare aziendale per le imprese clienti

Banche, la sfida ora si gioca sul welfare aziendale per le imprese clienti
Banche, la sfida ora si gioca sul welfare aziendale per le imprese clienti

C’è anche il capitolo welfare aziendale tra i tanti temi della razionalizzazione successiva all’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa Sanpaolo. I due istituti di credito sono stati tra i primi a cogliere l’importanza dei servizi di welfare aziendale da offrire alle proprie aziende clienti, accanto ai tradizionali servizi bancari. E si sono mossi con strategie e partner diversi. «Il nostro gruppo annette da sempre una grande importanza al welfare aziendale, considerandolo sia un utilissimo strumento di integrazione del Welfare State sia un volano per la generazione di valore per l’impresa e per i suoi dipendenti» sostiene Andrea Lecce, responsabile della direzione sales marketing privati e imprese retail di Intesa Sanpaolo. «Abbiamo lanciato nel 2017 Welfare Hub, il servizio per la gestione dei programmi di welfare aziendale attraverso l’accesso ad una piattaforma digitale multicanale pensata per essere non soltanto uno strumento per la gestione dei flexible benefits ma una piattaforma di relazione in grado di accrescere il ruolo sociale delle imprese e formare e coinvolgere i lavoratori per favorire, in ultima analisi, il benessere della persona e lo sviluppo delle comunità e dei territori locali».

DUE PIATTAFORME

A fine 2020 erano tremila le imprese (per un totale di 44mila lavoratori dipendenti) attive sulla piattaforma Welfare Hub, offrendo una gamma di oltre 50mila esercizi convenzionati. «Il nostro prossimo obiettivo è quello di integrare e capitalizzare al meglio anche la positiva esperienza che Ubi – con Ubi Welfare – ha maturato nel settore in maniera tale da proseguire il percorso intrapreso per consolidare presso le Pmi il ruolo di player primario di mercato per la gestione del Welfare Aziendale e, soprattutto, di partner commerciale di prossimità affidabile ed efficace». La razionalizzazione riguarda anche la scelta della piattaforma da utilizzare. Welfare Hub di Intesa utilizza quella di Jakala, Ubi Welfare si è da sempre appoggiato a quella di DoubleYou, il provider da qualche anno acquisito dal Gruppo Zucchetti. Ma qual è l’obiettivo di questo irrinunciabile presidio delle banche nell’offerta di servizi di welfare aziendale alle imprese (soprattutto Pmi) clienti? Certamente si tratta di fidelizzare la clientela attraverso servizi non bancari. Ma c’è chi ci vede un evidente strumento di marketing, soprattutto rivolto alla clientela retail. Attraverso le aziende clienti la banca può acquisire nuovi soggetti cui rivolgere i propri prodotti bancari e assicurativi sotto forma collettiva e individuale.

BANCA DI RIFERIMENTO

UniCredit dal 2017 si è dotata dell’offerta UniCredit Welfare, frutto di una collaborazione con Jointly, uno dei provider più attivi sul mercato, «con il duplice scopo di promuovere al loro interno il welfare aziendale in diverse forme, e di rendere UniCredit la banca di riferimento per i loro dipendenti – spiegano in banca – Grazie a UniCredit Welfare, le Pmi possono gestire l’erogazione di contributi welfare verso i loro dipendenti, in modo semplice e con zero complessità amministrative, garantendo al tempo stesso la più ampia scelta di spendibilità dei contributi». «Alla marginalità del servizio in senso stretto, Bper affianca l’obiettivo di consolidare e strutturare collaborazioni durature con la clientela imprese» spiega Davide Vellani, Responsabile Direzione imprese e corporate finance di Bper Banca. Per Credem (che si avvale della partnership di Eudaimon) «l’offerta di welfare aziendale per le imprese clienti non è solo una strategia di conservazione del business, ma una modalità per avvicinare tutti alle tematiche della sostenibilità: la sostenibilità in un’azienda comincia dall’attenzione ai propri collaboratori e al proprio territorio» aggiunge Alessandro Denti, Responsabile sviluppo aziende e privati. Non manca chi si affaccia al mercato del welfare aziendale per offrire i servizi del proprio “ecosistema” di imprese. È il caso di Bnp/Paribas, che in queste settimane ha lanciato “WellMakers”. «A disposizione delle aziende e dei loro collaboratori, attraverso una piattaforma digitale, si potranno scegliere più di 400 servizi e soluzioni – spiega Andrea Veltri, Responsabile dell’offerta nell’ambito di Wellmakers Bnp Paribas, nonché deputy ceo di Bnp Paribas Cardif Italia – a condizioni dedicate, per la salute, la prevenzione, il supporto alla famiglia, l’istruzione, la protezione casa e lavoro, il tempo libero, le esigenze di finanziamento: Arval per i servizi di mobilità sostenibile; Bnl con una proposta completa nel retail, private e corporate; Bnp Paribas Cardif e Cargeas per il settore assicurativo; Findomestic nel campo del credito al consumo».

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Anche il Tesoro in campo, arriva il primo Btp verde sotto l’ombrello della Bce

Anche il Tesoro in campo, arriva il primo Btp verde sotto l’ombrello della Bce
Anche il Tesoro in campo, arriva il primo Btp verde sotto l’ombrello della Bce

Il conto alla rovescia è scattato. Ma per il debutto il Tesoro intende scegliere il momento giusto, aspettare che passino le nuvole sul governo per proporre al mercato il primo green bond italiano. La Germania è stato l’ultimo emittente sovrano a fare ingresso sul mercato “verde” con due emissioni a fine 2020. Prima di Berlino erano arrivate Polonia, Olanda e Francia. Ma non c’è dubbio che sia stato il passo tedesco a trasformare la strada in autostrada. Da emittente benchmark e prima economia d’Europa, i Bund green tedeschi rappresentano infatti un punto di svolta, sebbene la seconda emissione, collocata per finanziare progetti già esistenti (a differenza di quanto hanno fatto Francia e Olanda), ha raccolto non poche critiche a Berlino, oltre che presso gli investitori particolarmente critici verso una pratica discutibile, il cosiddetto greenwashing (un neologismo che indica la tentazione di ingigantire i benefici ambientali di un investimento per cercare di catturare l’interesse del mercato): una pratica detestata, che ha spinto Bruxelles a dotarsi di nuovi strumenti di monitoraggio.

GLI OBIETTIVI

Per tornare al Tesoro italiano, il Btp green andrebbe a finanziare i nuovi programmi di più immediata realizzazione, nell’attesa che arrivino per lo stesso scopo i fondi europei. Il dubbio, piuttosto, è se l’Italia sia capace di finanziare così tanti obiettivi ambientali in breve tempo. Sei gli ambiti di spesa sui quali proiettare il finanziamento: energie rinnovabili, spese per trasporti legati ad una riduzione di emissioni di CO2, prevenzione inquinamento ed economia circolare, protezione ambiente e biodiversità e spese. Il Comitato interministeriale ha scritto la cornice regolatoria. Ora si punta alla pubblicazione del framework, per poi arrivare entro il primo trimestre, magari già a febbraio, alla prova del mercato. Sarà inizialmen\te un titolo destinato agli investitori professionali, ma non è esclusa l’estensione al retail. Crisi di governo permettendo, per questo prodotto il clima si profila dei migliori. La Bce si è infatti già espressa a sostegno di questo segmento obbligazionario, inserendolo tra gli asset acquistabili e accettati come collaterali di garanzia. La stessa Ue si è impegnata a emettere circa 225 miliardi di green bond entro il 2023: una scommessa di peso, destinata a trasformare l’Europa in un mercato di riferimento, già in forte crescita negli ultimi 3-4 anni. Anche perché lo scorso anno le emissioni green in tutto il mondo si sono attestate a 263 miliardi di dollari.

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Gli investimenti, il portafoglio di Cirdan Capital e Wisdromtree: è caccia a soia e rame, l’oro torna paracadute

Il portafoglio di Cirdan Capital e Wisdromtree: è caccia a soia e rame, l’oro torna paracadute
Il portafoglio di Cirdan Capital e Wisdromtree: è caccia a soia e rame, l’oro torna paracadute

La ripresa del Pil e la spinta verso le rinnovabili porterà fortuna al rame anche nel 2021, mentre l’effetto deficit di materia prima farà la fortuna della soia. Marco Oprandi, head of Cross Asset Solutions di Cirdan Capital, guarda oltre beni rifugio come l’oro per puntare quest’anno sulle materie prime. Dopo ferro e alluminio, il rame è il terzo metallo più utilizzato al mondo, diffuso soprattutto in settori come quello dei macchinari per la produzione industriale e quello delle costruzioni industriali. Settore che, dice l’esperto, «rappresenta un’importante subcategoria dei cosiddetti comparti ciclici, quelli che beneficiano per primi della ripresa economica». Dunque, «l’ottima performance» attesa nel 2021, non potrà che far scattare la caccia al rame. Ma oltre alla ripresa economica, sarà «l’appetito per investimenti in energie rinnovabili a spingere la performance di questa commodity». A fronte di una maggiore domanda, se ne riduce l’offerta. E dunque il successo del rame non è tanto «il riflesso di una mera strategia di diversificazione del portafoglio da parte degli investitori – spiega Oprandi – c’entrano i fondamentali di squilibrio tra domanda ed offerta». E a ben vedere, tra tutte le materie prime, sono proprio quelle maggiormente in deficit a registrare le migliori performance. Ciò «giustifica il prezzo del rolling forward sul rame con scadenza a tre mesi, che ha registrato una performance del 25% anno su anno, passando dalla quotazione di 6.290 dollari a gennaio 2020 a 7.864 dollari a gennaio 2021», precisa l’esperto. E la previsione è per «una crescita costante per gran parte dell’anno fino a quota 10.000 dollari».

I RENDIMENTI NEGATIVI

Un certo ottimismo riguarda anche la soia, una risorsa scarsa sul mercato globale. I futures sulla soia con scadenza tre mesi registrano un incremento di circa il 44% anno su anno (1.388 dollari a gennaio 2021). Mentre per Nitesh Shah, direttore della ricerca di WisdomTree, in uno scenario di incertezza economica persistente, di aumento dell’inflazione, di tassi bassi e di deprezzamento del dollaro americano, «si dovrebbe rafforzare il sentiment degli investitori verso l’oro». Più i rendimenti reali andranno in negativo, maggiore sarà l’attrazione che eserciterà il metallo prezioso. Fino a quota 2.340 dollari l’oncia, con un rialzo di oltre il 20% rispetto a fine 2020, scommette Shah.

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Finanza sostenibile, il fondo Banca Generali che esalta l’agenda Onu

Finanza sostenibile, il fondo Banca Generali che esalta l’agenda Onu
Finanza sostenibile, il fondo Banca Generali che esalta l’agenda Onu

Dall’agenda 2030 dell’Onu arriva una nuova spinta alla missione di Banca Generali per avvicinare le famiglie e i consulenti nella costruzione di portafogli che pesino a dovere anche l’impatto dei fattori Esg (Environmental, social e governance) nelle decisioni d’investimento. Il gruppo guidato da Gian Maria Mossa ha appena allargato l’offerta sostenibile per la clientela private con Esg Advisor Mainstreet Universal Values, una nuova linea di gestione che guarda proprio alle realtà maggiormente impegnate nel rispetto degli Sdgs (Sustainable development goals) dell’Agenda Onu 2030. Dopo aver raggiunto e ampiamente superato l’obiettivo del 10% delle masse gestite investite in soluzioni Esg, Banca Generali conferma quindi la rotta verso una gestione del portafoglio sempre più bilanciata tra l’obiettivo di rendimento finanziario tradizionale e i parametri sociali e ambientali allineati con gli obiettivi delle Nazioni Unite.ù

COME FUNZIONA

Sviluppata con l’advisory di Mainstreet Partners, la nuova soluzione di Banca Generali guarda principalmente a investimenti che rispondono a valutazioni economiche e finanziarie, nel rispetto di ben 8 dei 17 Sdgs disegnati dalle Nazioni Unite. Tra questi, particolare attenzione riscuote l’obiettivo numero 16, dedicato alla promozione della pace, della giustizia e delle istituzioni forti. Una mossa che posiziona il gruppo in prima fila anche nell’ambito “social” dell’acronimo Esg. La nuova Esg Advisor Mainstreet Universal Values ha dunque un portafoglio globale bilanciato obbligazionario ampiamente diversificato. La componente di equity può raggiungere una quota massima del 25% ed è fortemente bilanciata da strumenti obbligazionari green dall’alto merito creditizio e fondi sostenibili multiasset, alternativi, long/short e convertibili. Del resto, «la pandemia ha dimostrato come l’attenzione agli investimenti Esg non sia una semplice trovata di marketing, ma una precisa strategia per tutelare e proteggere i portafogli in un momento di forte volatilità dei mercati», ha commentato l’ad e direttore generale Mossa, convinto che la sostenibilità sia «un trend strutturale destinato a cambiare profondamente il mondo del risparmio». Così dopo il lancio due anni fa di MainStreet Partners, continua l’ad, «arriva oggi per i nostri consulenti uno strumento per elevare la diversificazione dei clienti investendo in un fondo che guarda esclusivamente ad aziende concretamente impegnate negli Sdgs dell’Agenda Onu 2030».

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Risparmio, record di raccolta per le gestioni anche nell’anno della pandemia

Risparmio, record di raccolta per le gestioni anche nell'anno della pandemia
Risparmio, record di raccolta per le gestioni anche nell'anno della pandemia

Vola a 5,7 miliardi di euro nel mese di dicembre la raccolta netta delle reti dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede e spinge il 2020 verso il nuovo record annuale di raccolta con 43,4 miliardi di euro (+24,1% rispetto al 2019).

Un risultato storico, dunque, sia in termini mensili sia sull’intero anno, considerato oltretutto che le reti hanno realizzato il 73,2% (31,7 miliardi) della raccolta annuale nel pieno della pandemia, cioè da aprile a dicembre. I volumi di raccolta sul risparmio gestito – vale a dire fondi comuni di investimento, gestioni patrimoniali e prodotti assicurativi/previdenziali – raggiungono 24,2 miliardi (+19,4% sul 2019). L’investimento netto in strumenti finanziari amministrati è quasi quadruplicato con 6,7 miliardi e l’altra buona notizia è che la liquidità netta (12,4 miliardi) confluita su conti correnti e depositi ha segnato addirittura una flessione (-4% sul 2019), in controtendenza al dato complessivo del sistema bancario.

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Borsa, non solo bolle hi-tech: valori in rialzo se si tratta di rinnovabili e veicoli elettrici

Borsa, non solo bolle hi-tech: valori in rialzo se si tratta di rinnovabili e veicoli elettrici
Borsa, non solo bolle hi-tech: valori in rialzo se si tratta di rinnovabili e veicoli elettrici

Più di un indizio punta dritto alle dot.com. Il 2020 non è stato soltanto l’anno della pandemia. Per i mercati è stato l’anno dell’esplosione delle Big America: AppleMicrosoftAmazon Alphabeth e non solo. Ma soprattutto, è stato l’anno della carica delle nuove stelle tech, le azioni “verdi”. E non c’è soltanto il fenomeno Tesla, le cui azioni sono scambiate a un valore che supera 1.000 volte i guadagni. Dalla fine del 2019, un fondo che replica un indice di energia pulita dell’S&P è aumentato del 150% rispetto al 18% realizzato dagli indici storici; e negozia a valori quasi doppi rispetto ai multipli di mercato (oltre 50 volte gli utili). Ma il 2020 è stato anche l’anno record per i debutti in Borsa – sempre negli Usa – con la quotazione di circa 420 aziende (+88%) e una raccolta totale di ben 145 miliardi di dollari. Una cifra mai vista negli ultimi 30 anni, nemmeno nel glorioso 1999 (meno esaltante è stata la corsa in Europa, +27%): è la più forte attività di raccolta di capitali sul mercato registrata a livello mondiale negli ultimi dieci anni, con 331 miliardi di dollari realizzati grazie a 1.591 collocamenti. Non a caso, proprio come ai tempi delle dot.com, si comincia a parlare di bolla, visto che qualsiasi cosa parli di veicoli elettrici o energia pulita diventa materiale infiammabile sui mercati. Ma si sa, le bolle fanno rumore solo quando scoppiano e per il momento la questione è aperta, visto che le banche d’affari sono convinte che la corsa del green sarà protagonista anche nel 2021. Per prudenza converrebbe cominciare ad allacciare le cinture, e tuttavia pare proprio che la trasformazione green rimarrà uno dei principali market moover nei prossimi 10 anni, confermano gli analisti di Bg Saxo. Naturalmente si tratta di distinguere il buono dal cattivo, evitando corse euforiche. E come sempre, la speculazione è un buon termometro. Per esempio, gli analisti hanno acceso i riflettori sulle azioni con il rapporto più elevato tra valore d’impresa e fatturato (EV/Sales), considerate anche quelle più a rischio in caso di correzione o di inversione nella loro valutazione dovuta alla reflazione oppure a un aumento dei tassi di interesse.

OSSERVATI SPECIALI

A ben vedere, tra i titoli “osservati speciali” – le cosiddette “azioni bolla” che hanno un rapporto valore/fatturato particolarmente elevato – c’è anche un plotone di azioni speculative green accanto a campioni vecchi e nuovi della Silicon Valley. In particolare, tra le società Usa ed europee che valgono oltre 10 miliardi di dollari ci sono molte azioni note nel settore tecnologico (Microsoft, PayPal o ZoomVideo), ma anche azioni green con performance stellari, tra cui la danese Orsted o l’americana NextEra Energy. Il tempo dirà. C’è però un altro elemento che avvicina la potenziale bolla green a quella che nel 2000 esplose sulla testa delle dot.com. Ed è, paradossalmente, consolatorio. Se anche un giorno questa bolla dovesse esplodere, ne sarà comunque valsa la pena, dicono gli osservatori. Perché oggi come allora alcune tecnologie verdi non commercialmente praticabili, potrebbero esserlo in futuro se possono garantire, seppure in virtù degli eccessi di mercato, i finanziamenti necessari. Tesla era sempre a caccia di liquidità mentre si trasformava da produttore di nicchia a grande costruttore: fu la corsa sfrenata di Amazon due decenni fa a salvarla, favorendone il moderno decollo. Un’euforia che probabilmente salverà anche società come Plug Power Inc, un fornitore di sistemi di alimentazione a celle a idrogeno per carrelli elevatori che si sta espandendo nei generatori di energia di backup per data center e nei sistemi elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua e impianti di idrogeno alimentati da fonti rinnovabili. Finanziare lo sviluppo sarebbe difficile per un’azienda che non ha mai realizzato profitti. Ma il balzo del 650% delle azioni di Plug ha permesso di trovare le risorse necessarie, tra emissione di nuovi titoli e bond convertibili, per produrre elettrolizzatori su grande scala a costi contenuti.Del resto, le tecnologie chiave delle rinnovabili, tra solare, eolico e batterie, seguono un andamento preciso: ogni raddoppio della capacità installata porta alla stesso taglio dei costi, come ha scritto Max Roser, fondatore di Our World in Data. Una prova? Tra il 2009 e il 2019 il costo del fotovoltaico è sceso dell’89% (-70% l’eolico), mentre il costo dell’energia da gas e da carbone, che dipende principalmente dal prezzo del carburante, è diminuito rispettivamente di un terzo e del 2%.

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Responsabilità sociale dell’impresa, è record di investimenti: quasi 2 miliardi di euro

Responsabilità sociale dell'impresa, è record di investimenti: quasi 2 miliardi di euro
Responsabilità sociale dell'impresa, è record di investimenti: quasi 2 miliardi di euro

Si potrebbe dire che l’idea della responsabilità sociale delle imprese (CSR, Corporate Social Responsibility) si affermò definitivamente anche per contrastare l’articolo di Milton Friedman sul “New York Times Magazine” (1970) che si era posto l’obiettivo proprio di stroncarla, quasi sul nascere: «Un’impresa ha una e una sola responsabilità sociale: avvalersi delle proprie risorse e svolgere attività miranti ad accrescere i suoi profitti». Il profitto come unica finalità sociale dell’impresa viene riproposto, cinquant’anni dopo da Franco Debenedetti (nel suo recentissimo volume “Fare profitti”), con il quale tira una sassata nello stagno della CSR, proprio quando tutto sembra muoversi nella direzione dell’imperativo sostenibilità, come ultima traduzione delle pratiche di CSR. E per questa “indebita” (per Debenedetti) commistione tra business e socialità contesta la lettera di Larry Fink, ceo di Blackrock agli imprenditori, critica il documento della Business Roundtable, e taccia di populismo l’enciclica di papa Francesco. Stefano Zamagni, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, oltre che economista di lungo corso, è uno strenuo difensore della CSR. «Preferisco chiamarla responsabilità civile delle imprese – precisa – perché l’impresa deve concorrere, con gli altri soggetti che agiscono nella società a valorizzare la civitas. Nell’espressione “responsabilità sociale” forse si evoca un contesto socialista più che sociale, che non attiene al mondo degli imprenditori. Ma la responsabilità civile è irrinunciabile. E profittevole. Veda l’attenzione crescente al welfare aziendale. Le imprese hanno compreso che un buon rapporto con i propri collaboratori aumenta la reputazione e la produttività».

INTENZIONALITÀ SOCIALE

«Forse il concetto della CSR è un po’ logorato dopo decenni di evocazione del tema, si potrebbe meglio dire che alle imprese spetta una irrinunciabile intenzionalità sociale» sostiene Paolo Venturi, direttore del Centro studi Aiccon (che analizza il mondo della cooperazione sociale e del Terzo settore): cioè la “responsabilità sociale” non deve più indicare delle esternalità, ma è ormai parte fondante del “purpose” aziendale. «E poi si confonde il valore con il profitto – aggiunge Venturi – il profitto è parte del valore, che comprende anche la reputazione, o il rischio di credito a esempio, molto più basso per le imprese sostenibili». Zamagni aggiunge il sospetto che Debenedetti abbia anche confuso il «profitto con l’extraprofitto, cioè con la rendita da capitale. Molti nostri capitalisti sono ormai dei rentier, non degli imprenditori. E poi Friedman si riferiva a un mercato perfetto per quanto riguarda la concorrenza».

VENT’ANNI DI OSSERVATORIO

«Volenti o nolenti la CSR ha cambiato il modo di stare sul mercato» commenta Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis, che da vent’anni monitora il comportamento delle imprese italiane a proposito di CSR: «Le imprese hanno fatto i conti con una maggiore sensibilità dei consumatori, con la necessità di doversi considerare parte del mondo circostante e di dover rivedere la propria scala di valori. Non è poco, ed è un trend inarrestabile, confermato dai numeri di 9 Rapporti statistici dell’Osservatorio Socialis, che hanno registrato una crescita degli investimenti in CSR delle aziende in Italia da 450 milioni di euro stimati nel 2001 (40% delle imprese impegnate) al record di 1 miliardo e 770 milioni di euro del 2019 (92% delle aziende impegnate)». Mario Calderini, che dirige l’Osservatorio Tiresia del Politecnico di Milano aggiungeva sul tema un’osservazione mediata dai suoi studenti: «Tra impresa profit e non profit a volte si crea una confusione che potremmo risolvere così: abbiamo bisogno di imprese responsabili, dove la responsabilità sociale non sia più solo misurata ex post dal bilancio sociale, ma entri ex ante nella predisposizione del business plan».

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CASE HISTORY

L’impegno multiarea di Cdp: nel bilancio di sostenibilità

Anche Cdp (Cassa Depositi e Prestiti) ha redatto il suo primo bilancio di sostenibilità. La società si propone come «volano dello sviluppo sostenibile», anche per la sua natura di partner naturale delle comunità e dei territori del Paese. Gaia Ghirardi, responsabile sostenibilità di Cdp nel corso della presentazione del nono Rapporto sulla Csr in Italia ha raccontato che è stato definito il «framework di sostenibilità» per calare l’impegno alla sostenibilità nelle diverse attività dell’impresa.

Fondazione Amplifon per l’emergenza Covid

Compie un anno la Fondazione Amplifon, nata il 29 gennaio 2020, proprio alla vigilia dell’esplosione della pandemia. Un anno di attività rivolte all’emergenza Covid e allo sguardo al “dopo”. «L’azienda ha voluto costituire una Fondazione – spiega Maria Cristina Ferradini – per dare organicità all’impegno sociale dell’azienda e per concorrere alla piena inclusione sociale, tanto più urgente dopo questo anno particolarmente difficile per le persone più fragili», come quelle naturalmente raggiunte dai servizi dell’impresa.

Parmigiani nuovo presidente del Csr Manager Network

Già head of sustainability & stakeholder management del Gruppo Unipol e direttrice della Fondazione Unipolis, Marisa Parmigiani è il nuovo presidente del CSR Manager Network, l’associazione italiana che dal 2006 riunisce i professionisti della Corporate Social Responsibility e della sostenibilità. Il CSR Manager Network si propone nella sua mission di «promuovere nel contesto economico italiano comportamenti in linea con il concetto di CSR».

Osservatorio Socialis: un check e cambia la cultura aziendale

Uno strumento semplice da usare, in grado di realizzare un concreto cambiamento della cultura aziendale e di facilitare sia una progettazione maggiormente coerente con i principi di sviluppo sostenibile che la valutazione e la dimostrazione dei risultati ottenuti e del loro confronto con quanto auspicato. È lo spirito che ha fatto nascere e sta facendo crescere il CSR-Check (www.csrcheck.it) dell’Osservatorio Socialis, in collaborazione con le Università Milano Bicocca, Roma Tor Vergata e Chieti-Pescara.

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Banche, online o tradizionale il conto corrente è servito, ma i costi schizzano a 110 euro l’anno

Banche, online o tradizionale il conto corrente è servito, ma i costi schizzano a 110 euro l'anno
Banche, online o tradizionale il conto corrente è servito, ma i costi schizzano a 110 euro l'anno

Di questo passo gli italiani torneranno presto a nascondere i soldi sotto il materasso. Le spese di gestione dei conti correnti risultano in aumento dal 2016 e, complice l’introduzione di nuove regole e della maggiore trasparenza, nel 2020 hanno sforato la soglia dei 100 euro annui. Il nuovo Indicatore dei costi complessivi, con cui un anno fa è stato sostituito il vecchio Isc (l’Indicatore sintetico di costo), ha fatto impennare di netto la spesa: l’Icc infatti vede tutto, non solo i canoni delle carte di pagamento ma anche le spese per la loro emissione, per intenderci, e così la sua entrata in azione si è subito tradotta in un aumento dei costi operativi di un conto corrente del 20% circa. Oggi, tutto compreso, si pagano mediamente 110 euro l’anno per un conto tradizionale. Nel 2019, quando il conteggio avveniva ancora in base all’Isc, l’asticella si posizionava sotto 90 euro. Secondo le rilevazioni dell’Abi, a dicembre nei conti correnti degli italiani risultavano depositati 162 miliardi in più rispetto al dicembre 2019. Un incremento del 10,3%, frutto anche del risparmio forzoso prodotto dalle chiusure anti-virus, che ha portato i depositi bancari a quota 1.736 miliardi. Un vero tesoro, che però viene però eroso dai crescenti costi di servizio applicati dalle banche.

GLI ESEMPI

I conti online continuano a essere quelli che propongono le condizioni più vantaggiose, ma trovarne uno a zero spese è un’impresa quasi impossibile. C’è chi, come il gruppo Ing, propone ai nuovi clienti un conto con canone azzerato, a patto di attivare un accredito fisso di almeno mille euro al mese. Chi, passato il primo anno, mantiene il canone azzerato solo in caso di accredito dello stipendio sul conto agevolato, come Banca Widiba. In promozione a zero spese fino a settembre anche il conto My Genius di Unicredit, ma occhio alle commissioni sui prelievi ai bancomat di altri istituti (2 euro) e a quelle sui prelievi allo sportello. L’aumento dei costi di servizio insomma non risparmia nemmeno i conti online, che anzi sono quelli che hanno fatto registrare gli incrementi più significativi nell’ultimo periodo, secondo la Banca d’Italia. Nel 2019, si legge nell’indagine sul costo dei conti correnti di via Nazionale pubblicata prima di Natale, la spesa di gestione di un conto online è stata pari a 21,4 euro, quasi 6 euro in più rispetto all’anno prima. L’aumento, spiega il report, è stato determinato principalmente dalle maggiori spese fisse e in particolare dai canoni di base unitari. Al contrario, i conti tradizionali sempre nel 2019 sono costati 88,5 euro se valutati in base al vecchio Indicatore sintetico di costo e 107,9 euro se invece si utilizzano i parametri dell’indice Icc. Le spese fisse, che rappresentano circa i due terzi della spesa complessiva e ammontano a 57,6 euro, sono aumentate di 2,1 euro nel 2019, per effetto soprattutto di canoni più cari. Ma ha inciso pure l’incremento delle “altre spese fisse”, nelle quali confluiscono servizi eterogenei e residuali. Le spese variabili, in compenso, sono diminuite di poco più di 0,5 euro, scendendo a 30,9 euro, grazie al minor costo dei pagamenti automatici, sottolinea sempre la Banca d’Italia nella sua indagine.

ROSSO DEFAULT

Ma non sono solo i costi di servizio a spaventare oggi chi ha un conto in banca. L’entrata in vigore a gennaio delle nuove norme varate dall’Eba, l’Autorità bancaria europea, ha cambiato le regole di gestione dei conti in rosso. I clienti privati con uno scoperto di 100 euro protratto per oltre 90 giorni ora possono essere ritenuti “cattivi pagatori” e in tal caso vanno incontro allo stop al credito, al blocco degli addebiti automatici per il pagamento delle utenze e al congelamento del proprio conto. Oltre alla soglia assoluta dei 100 euro, che per le imprese sale a 500 euro, lo sconfinamento deve superare anche quella relativa (1% dell’esposizione totale) affinché scatti la tagliola. Le nuove regole per identificare le esposizioni in stato di default sono disciplinate a livello europeo dal Regolamento sui requisiti di capitale delle banche del 2014 e dalle linee guida dell’Eba del 2017, ma in tempi di pandemia una gestione troppo rigida dei debiti potrebbe rivelarsi un boomerang per il sistema. Migliaia di correntisti rischiano infatti di finire nella black list a causa della nuova e più stringente classificazione di default. Le nuove regole dell’Eba non convincono nemmeno la Banca d’Italia che in questa fase chiede flessibilità agli operatori per evitare che gli utenti alle fine pensino, come diceva Mark Twain, che le banche prestino il loro ombrello solo quando c’è il sole.

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Obbligati a crescere, l’intervento di Claudio Descalzi

Obbligati a crescere, l'intervento di Claudio Descalzi
Obbligati a crescere, l'intervento di Claudio Descalzi

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L’intervento di Claudio Descalzi al webinar Obbligati a crescere

Obbligati a crescere, l’intervento di Stefano Patuanelli

Obbligati a crescere, l'intervento di Stefano Patuanelli
Obbligati a crescere, l'intervento di Stefano Patuanelli

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L’intervento del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, al webinar Obbligati a crescere.